Quando il neocancelliere Adolf Hitler presentò il Decreto dei pieni poteri al Parlamento, egli non possedeva la maggioranza assoluta dei voti (non aveva quindi, neanche la possibilità di formare un governo); per assicurarsi l’approvazione del piano, fece arrestare o comunque impedì con la forza di partecipare alla seduta a tutti i deputati comunisti e ad alcuni socialdemocratici, minacciò fisicamente ministri ed esponenti del Centro Cattolico e fece disporre le SA, squadre paramilitari del Partito nazionalsocialista, attorno e all’interno del Reichstag durante la votazione.[1]
Secondo alcuni storici, il consenso dato dal Partito del Centro all’approvazione della legge dei pieni poteri fu concesso in cambio della promessa di Hitler di stipulare un concordato con la Santa Sede; tuttavia, dai documenti dell’archivio vaticano non risulta che la Santa Sede fosse stata preventivamente informata sulle trattative intercorse tra Hitler e i parlamentari del Centro; sembra invece che questi agirono autonomamente senza il mandato del Vaticano. Inoltre, dal rapporto inviato dal nunzio Cesare Orsenigo in Vaticano il 24 marzo non risulta che durante tali trattative si fosse fatto cenno a un possibile concordato tra Santa Sede e Governo tedesco.[2]
Il primo atto preso nell’ambito del decreto dei pieni poteri fu l’ordine di scioglimento del Partito Socialdemocratico di Germania, che aveva votato contro il decreto stesso